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Venerdì – 06 mar 2015 – ore 17.15

Costruire l’architettura: [Learning From] Detroit

Mosè Ricci

Detroit ha un‘area metropolitana tra le più estese in America. Il suo perimetro potrebbe comprendere città come New York, Washington, Boston e Philadelphia messe insieme. Al centro, all’interno del famoso eight mile divide della canzone di Eminem la città moderna costruita nel secolo scorso in elegante stile vittoriano non esiste più. E’ morta. Le case vuote con le finestre murate, quelle occupate dagli squatters, gli edifici alti con le finestre attraversate dagli uccelli in volo, i lotti industriali demoliti, i negozi abbandonati, i monumenti vuoti, …, hanno trasformato questa città in un’altra cosa. Qualcosa che è oltre la condizione metropolitana e che forse non è possibile immaginare da una prospettiva europea, che non si riesce a concepire se non si va lì a vedere.

Detroit è la Pompei americana. Con la grande crisi dell’economia che l’aveva generata la madre di tutte le metropoli industriali ha dovuto porsi il problema della sua sopravvivenza e del suo destino. Ha perso in pochi anni più di un milione di abitanti (da 1.850.000 a 740.000 tra fine 1990 e inizio 2000). Ha dovuto demolire più di 2000 edifici industriali in città. La desolazione del centro è drammaticamente evidente con più di 320.000 posti di lavoro persi tra il 2001 e il 2008 e un abbandono di circa il 57% della popolazione dal 1970 e del 25% negli ultimi quindici anni. Oggi i suoi spazi fisici svuotati del senso non esprimono più un’immagine urbana tradizionale, ma propongono una condizione dell’abitare nuova e diversa che è molto più vicina ad un’idea di parco che a un’idea di città e che … in fondo … non è affatto spiacevole. Intorno a questa nuova figura urbana oltre il cerchio delle otto miglia il suburbio sopravvive. E’ lì che si sono trasferite le attività economiche e molte delle residenze. Nell’area periferica (una definizione che potrebbe essere desueta altrove) le autostrade sono trafficate e i centri commerciali sono in piena attività. Dove la città moderna ha concluso il suo ciclo di vita lo sprawl resiste e funziona benissimo.

15 anni di distanza dal culmine del disastro che la ha colpita Detroit sta trovando, lentamente, un’altra dimensione.

Nuovi dispositivi materiali o impalpabili sostituiscono le figure urbane tradizionali. Sono icone del cambiamento che riducono, riusano e riciclano quel che resta della città in un paesaggio.

Detroit è la prima città oltre la metropoli. L’interesse nella condizione post-metropolitana di Detroit non dipende tanto dal fascino che la rovina esercita quanto dalla sostituzione di certi materiali metropolitani solidi con i nuovi dispositivi impalpabili dell’economia della condivisione e dall’armonia che la vita urbana ha ritrovato a Detroit abitando spazi inusuali e non necessariamente veloci.

Forse la situazione non è così diversa in tutto il mondo occidentale dove il declino dell’economia della finanza e del mattone nell’era della più grande rivoluzione tecnologica ha stressato i territori in modi forse meno estremi e manifesti che a Detroit, ma con conseguenze diffuse su ampia scala che sono praticamente le stesse.

Detroit è il paradigma estremo di una nuova nuova condizione urbana che presto potrebbe essere la nostra e forse già lo è.


Friday – Mar 06th 2015 – 17.15 pm

Building the architecture: [Learning From] Detroit

Mosè Ricci